Oggi la Corte di Cassazione si esprimerà sull’arresto di Ambrogio, avvenuto ormai 5 mesi fa, il 10 ottobre. Di seguito riporto il testo del ricorso in Cassazione presentato dai nostri avvocati Giuseppe Rossodivita e Marcello Elia:

CORTE DI CASSAZIONE

Proc. Pen. n. 46168/12 R.G. Cass.

I sottoscritti avvocati Giuseppe Rossodivita del foro di Roma e Marcello Elia del foro di Milano, difensori di fiducia – come da nomina in atti – del sig. Ambrogio Crespi, indagato nel procedimento penale indicato in epigrafe, sottopongono all’attenzione dell’Ecc.ma Corte il seguente

MOTIVO NUOVO

Nell’ambito dei motivi di ricorso, datati 7 novembre 2012, e nell’ambito dei motivi nuovi, depositati nell’imminenza dell’odierna discussione, si è ampiamente chiarita (e criticata) l’impostazione strutturale del capo di incolpazione che sta alla base dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Ambrogio Crespi.

Senza inutilmente dilungarsi su temi già trattati, basti notare che, nell’ottica accusatoria, Ambrogio Crespi sarebbe responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa per avere fornito ausilio a un asserito sodalizio di stampo ‘ndranghetistico.

Tale ausilio, nello specifico, sarebbe consistito in un contributo offerto da Crespi alla raccolta voti a favore dell’assessore regionale Zambetti, la cui elezione – sempre secondo l’accusa – sarebbe stata il frutto di uno specifico patto elettorale politico-mafioso.

Crespi, in definitiva, avrebbe raccolto consenso elettorale (voti, molto più banalmente) a favore del suddetto politico, con la consapevolezza di così (indirettamente) adiuvare un’associazione ‘ndranghetistica.

Prima di proseguire, occorre peraltro precisare i presupposti di diritto, in presenza dei quali la tradizionale giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte ha riconosciuto la sussistenza della controversa figura del concorso esterno nel reato associativo.

Per quanto di nostro interesse, è importante ricordare che “perché si abbia concorso esterno in associazione mafiosa non basta la promessa di un intervento favorevole, ma occorre che da colui che non è stabilmente inserito nella struttura associativa siano realizzate effettive condotte d’ausilio al sodalizio, dotate di una effettiva rilevanza causale per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione” [così testualmente Cass. Pen. Sez. II, sent. n. 42621 del 19 ottobre-18 novembre 2011, Magliocca; conf. Cass. Pen. SS.UU., sent. n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino].

Ed è per tale insuperabile motivo che la stessa sentenza Magliocca correttamente ricerca “non soltanto la prova che il patto di scambio illecito di favori vi era stato, ma anche che ad esso si era attenuto” l’indagato [cfr. sent. Magliocca, cit., p. 10 ss.].

Volendo applicare questi principi al caso concreto, è di tutta evidenza come l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza per concorso esterno a carico del Crespi dovrebbe presupporre:

  • l’accertamento di un accordo illecito tra Crespi e taluni esponenti del sodalizio criminoso, teso allo scambio fra voti (che crespi avrebbe dovuto far conseguire a Zambetti) e denaro (che il sodalizio avrebbe dovuto erogare a favore dello stesso Crespi);

  • l’accertamento della concreta esecuzione dell’accordo da parte di Crespi con la conseguente dimostrazione che quest’ultimo aveva concretamente ed effettivamente raccolto voti a favore di Zambetti, così offrendo al sodalizio quel reale apporto eziologico che Codesta Ecc.ma Corte da sempre richiede.

Ebbene, nessuna delle due dimostrazioni si ha nel caso di specie.

Non la prima, cioè quella dell’accordo illecito, data l’inconsistenza degli elementi probatori portati in tal senso dall’accusa.

L’impegno da parte di Crespi a raccogliere voti a favore di Zambetti emergerebbe infatti (indirettamente) solo dalle parole di terzi soggetti e segnatamente di Costantino, Gugliotta e Simonte, i quali – sempre e solo sulla base delle informazioni “filtrate” da Gugliotta – si raccontano vicendevolmente, in termini vaghi e mirabolanti, di questo presunto ruolo di collettore di voti assunto da Crespi.

Sulla totale carenza di credibilità di questi soggetti (e segnatamente di Gugliotta che costituisce la fonte primigenia di ogni dato di fatto poi propalato dai tre) si è già ampiamente disquisito nell’ambito dei motivi di ricorso, cui senz’altro si rinvia.

Vale in questa sede solo la pena di ribadire il clamoroso fuor d’opera realizzato dall’impugnata ordinanza, laddove – sulla scia dell’impostazione accusatoria – considera elementi indiziari cardine le conversazioni intrattenute da Crespi con Gugliotta (int. tel. 5 luglio 2011, p. 54 impugnata ordinanza); da Crespi con Condello (int. tel. 19 aprile 2011, p. 56 impugnata ordinanza).

A prescindere dalla reale interpretazione da attribuire a tali conversazioni, sarebbe sufficiente in questa sede notare come le stesse siano successive ai fatti per cui è processo e abbiano ad oggetto competizioni elettorali (pure successive) che non hanno nulla a che vedere con l’elezione regionale lombarda, che sola compare all’interno degli odierni capi di incolpazione.

Ciò sembrava a questa difesa sufficiente – già dal punto di vista del buon senso e della logica – per escludere qualsivoglia valore indiziante rispetto ad un fatto completamente diverso e precedente, ma poiché tale logica e tale buon senso non vengono esercitati nell’impugnata ordinanza, pare utile citare ancora una volta la sentenza Magliocca, laddove – proprio sulla base di presupposti di fatto sovrapponibili – si osserva che “l’esistenza di un accordo successivo, avente diverso oggetto, può valere come conferma dell’attitudine dell’agente, ma non è sufficiente a colmare le lacune circa l’esistenza del precedente fatto” [cfr. sent. Magliocca, cit., p. 12].

Ora, nel caso di specie, le confuse conversazioni (già spiegate da questa difesa) non giungono nemmeno alla dimostrazione di qualsivoglia successivo accordo, ma è utile comunque osservare come – qualora pure così fosse – ciò non avrebbe alcuna attinenza con l’odierno procedimento e non potrebbe porsi a fondamento di un’ordinanza di custodia cautelare che ha ad oggetto un fatto radicalmente differente e ben circostanziato: le elezioni regionali lombarde del 2010.

Né si ha tantomeno, nel caso di specie, la seconda essenziale dimostrazione, cioè quella dell’effettiva raccolta di voti da parte di Crespi a favore di Zambetti.

Ed infatti dai principi chiarissimi delle sentenze Mannino e Magliocca non si scappa in alcun modo: per dimostrare il concorso esterno di Crespi occorre dimostrare che egli ha concretamente raccolto voti a favore di Zambetti, così apportando un vantaggio effettivo al sodalizio criminale.

L’assenza di tale dimostrazione è di una chiarezza sconcertante, sfuggita soltanto al Tribunale del Riesame.

Integrando e sintetizzando anche parte dei motivi già proposti, può notarsi come esistano astrattamente tre modalità di raccogliere voti (per chiunque e così per Crespi):

– coartare gli elettori al voto;

– comprare il voto degli stessi elettori;

– convincere, mediante lecite tecniche di persuasione, gli elettori al voto (si tratta invero della tradizionale arte politica).

Il discorso più ragionevole sarebbe quello di limitare l’analisi alle modalità di raccolta voti che sono indicate dalla stessa accusa al capo 4 laddove si ipotizza una forma di reperimento coercitivo delle preferenze.

Ebbene, rispetto a tale ipotesi di (autonomo) reato, la stessa Procura ammette di non avere indizi di colpevolezza. Ed infatti non esiste prova alcuna agli atti di una sola violenza o minaccia esercitata, anche su di un solo elettore(!), per costringerlo a votare l’assessore Zambetti.

Ciò dovrebbe chiudere ogni discorso, posto che, senza dimostrazione della raccolta coercitiva di voti da parte di Crespi, nessuna contestazione per concorso esterno potrebbe essere mossa allo stesso indagato, da una Procura che concepisce tale forma di raccolta voti come l’unica praticata da Crespi (e dai concorrenti).

Anche volendo andare oltre, peraltro, non si avrebbe maggiore fortuna valutando un’eventuale responsabilità per “acquisto di voti”. In questo caso, non solo perché – ancora una volta – non esiste prova alcuna agli atti di una sola elargizione di denaro, anche a vantaggio di un solo elettore(!), al fine di persuaderlo a votare l’assessore Zambetti. Ma anche perché tale condotta, sussumibile entro un’autonoma fattispecie criminosa (art. 86 D.P.R. 570/60), nemmeno viene contestata dalla Procura procedente.

Nelle proprie motivazioni questa difesa è persino andata oltre, dimostrando – dati alla mano – che non è nemmeno pensabile, al di là dell’assurdità di tale ipotetico modus procedendi,una residuale raccolta di voti da parte dell’indagato nei confronti di elettori che non fossero né coartati né pagati. E così, con statistiche e perizie, si è mostrato che non è esistito alcun aumento di voti nelle zone milanesi di asserito “potere/controllo” di Crespi e che questi non ha alcun bacino di voti, come i suoi personali risultati elettorali dimostrano.

Questo sforzo è stato compiuto per spirito di collaborazione nell’accertamento della verità, ma non potrà questa Corte non notare come tale probatio diabolica – in cui la difesa volontariamente si è addentrata – non appaia nemmeno indispensabile per ritenere insussistenti i gravi indizi di colpevolezza per concorso esterno.

A meno di non volere stravolgere radicalmente i più basilari principi di diritto, non spetta certo a questa difesa dimostrare che Zambetti non sia stato votato a Milano, ma spetta all’accusa dimostrare con chiarezza, precisione e rigoroso metodo individualizzante che Ambrogio Crespi ha effettivamente, realmente, materialmente raccolto voti per conto della ‘ndrangheta.

Solo tale prova aprirebbe le porte ad una legittima contestazione per concorso esterno alla stregua dei principi solidi delle sentenze Magliocca e Mannino.

Ebbene, di tale prova agli atti non esiste nemmeno l’ombra.

Non esiste la prova che Crespi abbia fatto conseguire a Zambetti nemmeno un singolo voto.

Non esiste nemmeno la testimonianza di un singolo cittadino che dica: “Ambrogio Crespi mi ha detto di votare per Zambetti”.

Nulla di tutto ciò. Tutto presunto. Tutto privo di riscontro fattuale.

Ma allora, Signori Giudici, di che cosa stiamo parlando?

Alla luce di queste riflessioni e della radicale carenza e non integrabilità dell’ordinanza impugnata, questa difesa chiede che Ecc.ma Corte adita voglia annullarla senza rinvio, annullando correlativamente anche l’ordinanza di custodia cautelare in carcere che determina oggi l’ingiusta detenzione di Ambrogio Crespi.

Con osservanza.

Milano-Roma, 8 marzo 2013.

avv. Giuseppe Rossodivita avv. Marcello Elia 

FIRMA LA PETIZIONE PER AMBROGIO CRESPI LIBERO SUBITO