freud e jung

In questi giorni sento spesso parlare di simboli, tabù e persino di totem. Onestamente, quasi sempre a sproposito. Si usano queste espressioni, che hanno la loro origine nella teoria freudiana e junghiana, senza conoscerne esattamente il significato. Si passa con disinvoltura dalla generazione totemica, al pensiero creativo, ai sogni vigili. Ma se si evocano queste espressioni è evidente che ci si riferisce alle dottrine specifiche ad esse collegate, ai pensatori che le hanno elaborate. E si dovrebbe farlo con cognizione di causa.

Lasciando da parte Freud, più adatto ai gruppi di autocoscienza, è il pensiero centrale di Jung a portarci allo studio attento degli archetipi. Di certo, uno story teller come Matteo Renzi, forse il più grande che l’Italia abbia mai avuto, non può non conoscere la forza evocatrice potente dei sogni vigili, del pensiero creativo che si sviluppa antropologicamente e ancestralmente nell’archetipo, asse fondamentale di ogni simbolo umano.

Renzi è uno dei pochi comunicatori capace di animare, di mettere a vivo gli archetipi. Dà loro forma, sostanza, carne e sangue pulsante. Una forza inaudita, potentissima, un dono unico: la capacità di trasmettere emozioni, visioni e di rendere visibili gli archetipi. Matteo Renzi è lui stesso un archetipo. Oltre la sinistra, oltre la destra, oltre la politica, oltre il Parlamento e figuriamoci se non oltre il suo partito.

Allora, è inimmaginabile pensare che l’attacco all’articolo 18 sia un fatto casuale e non, piuttosto, un progetto molto preciso, al quale mi permetto di aggiungere anche la questione della responsabilità civile dei magistrati. Due simboli della destra italiana, due archetipi, due valori fondanti dell’identità del centrodestra nel nostro paese.

Matteo Renzi, selettivamente, decide prima di attaccare su un punto, i giudici, senza aver paura di mettersi contro la magistratura, l’establishment, il Capo dello Stato, chiunque; poi decide di rivolgersi contro l’articolo 18, che è ben oltre il concetto di simbolo e che lui stesso definisce un totem. Un feticcio pagano.

Noi sappiamo (e lo sanno anche Renzi e gli stessi sindacati) che l’articolo 18, dopo il “trattamento Fornero” non è in grado di incidere in alcun modo sulla società. Nessuno sottovaluti, però, l’attacco fatto dal leader socialdemocratico italiano. Perché cambia la cultura, il linguaggio, la gerarchia dei valori e lo fa in direzione di un allargamento politico-culturale verso la destra.

Tutto questo per dire che Renzi, ancora una volta, ha messo in campo una complessa e straordinaria operazione di comunicazione elettorale che i sindacati vedono come un attacco alla loro stessa esistenza; che la sinistra del suo partito vede come un attacco alla sua stessa identità. E che un centrodestra senza identità e senza leader ha accolto come si accoglie il figliol prodigo. Ed era esattamente questo l’obiettivo di Renzi.

Il premier ha il 40% del consenso elettorale ed è impensabile che questo consenso possa crescere ulteriormente dentro il centrosinistra, dove ormai ha fatto il pieno. Il suo bacino elettorale espansivo non può essere neanche l’elettorato di Grillo, perché dopo Grillo – l’abbiamo detto tante volte – c’è solo l’astensione: è l’ultimo stadio prima uscire dal sistema.

L’unico elettorato che Renzi può aggredire efficacemente è un elettorato senza guida, senza identità e senza capo. I delusi del centrodestra appunto, milioni di elettori che arroccati nell’astensione. Ecco allora spiegato il rapporto con Berlusconi (che non ha niente di massonico, niente di oscuro, ma si basa su interessi evidenti). Renzi conta sui costanti endorsement di Berlusconi e dei suoi uomini, persino della compagna, capaci sempre di trovare nuove motivazioni per aderire al renzismo.

È il posizionamento di Forza Italia, di fatto, il terreno di coltura dove l’innesco della responsabilità civile dei magistrati (che Berlusconi non è mai riuscito a fare) e dell’articolo 18 (su cui lo stesso Berlusocni si è schiantato) diventano il paradigma del trasferimento di consenso.

Se si andasse a votare tra pochi mesi, l’elettorato berlusconiano – per il quale questi due temi sono simboli della propria identità – sceglierebbe Berlusconi che in vent’anni non è riuscito a portare a casa questi due risultati o il 40enne post-democristiano che strizza l’occhio ai socialisti, ma che in realtà ha concesso loro due bandiere da sventolare sul pennone dei propri ideali e valori?

La domanda è retorica.

Ma il viaggio è insidioso.

Oggi a sostenere Renzi ci sono Marchionne, che non ha aumentato i posti di lavoro e che non ha incrementato gli investimenti nel nostro paese, la Pascale, che fa dei diritti civili la sua bandiera (una bandiera di sinistra) e Caltagirone, che non è certamente un potere “debole” del nostro paese. Se l’obiettivo, attraverso l’abolizione dell’articolo 18 e l’introduzione della responsabilità civile dei magistrati, è quello di estendere il proprio elettorato, il pericolo è che appoggiarsi a Forza Italia in sede parlamentare e non in sede di aggressione elettorale può far scivolare Renzi sul terreno dell’identità. Perché contro di lui ci sono Landini, D’Alema, la Camusso. C’è la sinistra, insomma.

Renzi deve aver fatto bene i propri conti, perché il rischio concreto è che il suo richiamo alla “modernità” e all’innovazione, il solco da lui tracciato tra sinistra riformista e conservatrice, non sia sufficiente a trattenere il 40% da lui raggiunto alle Europee e a cui vuole sommare il risultato dell’Opa su Forza Italia.

Il rischio, insomma, è che la somma non faccia il totale. E, obiettivamente, partire con Freud e Jung e finire con Totò, mi sembra il modo più corretto di concludere.

fonte: Il Tempo