Lasciamo perdere il ritorno di Berlusconi che lascia senza parole: comunisti, libertà e quant’altro sembrano vocaboli di un vecchio arsenale dalle polveri bagnate. La vera novità è, invece, che ormai tutti danno per scontato l’avvento del nuovo leader Angelino Alfano che, ieri, ha dato la linea politica del Pdl prima dell’intervento dello stesso Berlusconi; per poi debuttare a “Che tempo che fa” dove si è proluso in sperticati elogi al conduttore così marcati da sembrare persino eccessivi.

Alfano va oltre la capacità seduttiva che esprimeva nelle sue intenzioni Silvio Berlusconi: lui uomo del sud punta alla conquista e offre a chiunque un rapporto unico esclusivo. Politicamente è sconclusionato, enfatico ma freddo con sequenze disorientanti. Il suo volto irregolare non è certo rassicurante anzi a tratti e respingente. Da ragione a tutti ascolta chiunque non contrasta nessuno e media: proprio nella mediazione trova il senso della sua azione politica. Media tra se stesso e quello che deve rappresentare, si capisce fin troppo bene quando recita la parte dell’apostolo fedele.

Ma quali sono i meriti politici che lo hanno portato a guidare il popolo di centrodestra? Se andate in Sicilia troverete solo macerie, il Pdl fuori dal governo della regione è un partito diviso che ha quasi dimezzato i suoi consensi. Se passiamo da via Arenula, dove per oltre tre anni a guidato il ministero della giustizia, sarà difficile trovare una traccia del suo passaggio. E allora qual è il suo titolo di merito?

La fedeltà verso Berlusconi, ovvio. Poco, troppo poco per diventare un leader. Sarebbe bene andare a primarie vere e fare scegliere all’interno di una competizione vera il futuro leader al popolo di centrodestra. E per unire i moderati in Italia sarebbe meglio cambiare la legge elettorale e non passare per convegni e liste chiuse. In una logica di democrazia competitiva se Alfano fosse dotato del talento necessario lo sapremmo già, prima di contare i danni.