Il 21 gennaio 2011 quattro persone venivano uccise nella piazza principale di Tirana, uccise da colpi di fucile sparati dal palazzo del governo, governo presieduto da Berisha e il cui ministro degli interni era Lulzim Basha.

Quattro persone possono sembrare poche e gennaio del 2011 può sembrare lontano, ma il vento di rivolta, di cambiamento che ha stravolto tutto il Mediterraneo si è fermato sui Balcani. In Albania una democrazia non compiuta ha portato all’isolamento di quella terra. Le elezioni farsa tenute nella primavera del 2011, dopo conte e riconte e addirittura un cambio di legge elettorale a urne aperte, hanno spinto la Comunità europea a tardare il processo di integrazione di questo Paese.

Oggi da quelle parti vi è un regime che ha solo una parvenza di democrazia, ma la comunità internazionale sembra distratta da cose più importanti e l’opposizione interna incapace di organizzarsi in modo credibile e differente da chi ha messo, come Berisha e Basha, questo Paese sotto i tacchi.

Ma per noi italiani l’Albania è troppo vicina, a uno sputo di mare e a un’ora di volo, perché si possa essere distratti come la comunità internazionale o immischiati come l’opposizione interna.

D’altronde in un momento in cui la sovranità dei popoli è prevaricata dagli interessi delle banche centrali, forse l’Albania è oltre il default, quello morale, quello democratico, quello civile.